La Battaglia delle Chiuse della Val di Susa
Quando Carlo Magno si avvicinò alle Chiuse, non vi fu una vera e propria battaglia, perché la maggior parte dei soldati longobardi fuggirono terrorizzati. Le spie di Re Carlo Magno avevano fatto davvero un buon lavoro presso i passi alpini, introducendosi di soppiatto in Italia e battendo palmo a palmo le montagne ed i passi della Liguria e della Svizzera, procurandosi alleati. Gli esploratori di Carlo Magno avevano subito notato che, sia il passo del Gran San Bernardo che quello del Moncenisio, erano stati fortificati dai Longobardi ed erano militarmente ben presidiati. Interrogarono le varie guide dei valligiani abitanti ai piedi delle Alpi per sapere quali altri passi esistessero per raggiungere l’Italia. Ne scoprirono uno vicino a Bardonecchia. Si trattava di un ridotto passaggio in mezzo ad aspre montagne, cui si accedeva solo attraverso uno stretto, irto e pericoloso sentiero. Il passaggio era così tortuoso ed impervio che non era mai stato controllato né fortificato dai Longobardi. Forse essi ne ignoravano persino l’esistenza. Ciò consentì ai Franchi di transitare indisturbati in Italia passando dal Passo del Col de l’Echelle, il tutto senza dare nell’occhio ai difensori.
Andò più o meno così: un corpo di spedizione condotto da Re Carlo Magno in persona salì al Moncenisio, ma non scese subito a valle, dando ai Longobardi l’impressione che fosse la solita scorribanda di rapina e non una vera invasione. L’ingente corpo di spedizione rimase stanziale e minaccioso, limitandosi a presidiare il passo dall’alto. Un altro troncone, comandato dallo zio di Carlo Magno, il Conte Bernardo, salì al Passo del Gran San Bernardo. Il suo contingente, meno numeroso ma più pesantemente e meglio armato dell’altro, valicò rapidamente il passo, scese conquistando Ivrea, immettendosi indisturbato nella Val Susa. Si diresse poi rapidamente alle Chiuse di San Michele, sorprendendo e spaventando i Longobardi che non li attendevano proprio da quell’inaspettata direzione.
Re Desiderio sapeva bene che per evitare l’invasione della Pianura Padana si doveva presidiarne tutti gli accessi fortificandoli il più possibile. Cosa che fecero i Longobardi seguendo la tradizione ormai ereditata da romani e bizantini. Infatti, costruirono nel Canavese un Vallo: dalla Dora alla Serra, nonché un campo trincerato a Mazzè, da dove si poteva vigilare la Dora Baltea. Nell’intento, eventuali attaccanti non avrebbero potuto oltrepassare il fiume e prendere alle spalle i difensori delle fortificazioni principali. Fu proprio per questa ragione che la sorpresa dei Longobardi che stavano controllando a valle il Passo del Moncenisio e quello del Monginevro, fu enorme. I primi difensori furono praticamente presi alle spalle e quasi accerchiati, ma il terrore si diffuse ben presto anche fra i militari che controllavano a valle la discesa dal San Bernardo. Infatti, non appena appresero che i Franchi erano già calati in Italia da altre parti, fuggirono tutti in massa.
Gli invasori stavano già marciando a tappe forzate verso Torino, dilagando così anche in pianura. Anche i difensori Longobardi della Pianura Padana furono presi dal panico, perché pensarono che le barriere ai passi fossero state distrutte ed indietreggiarono in modo del tutto scomposto fino quasi a Milano, ove si divisero in due gruppi: il primo guidato dal figlio del Re, Adelchi, l’altro guidato dallo stesso Desiderio. In seguito, il Re si asserragliò nella fortezza di Pavia insieme alla Regina Ansa, sua regale consorte, ove restarono rinchiusi a partire dalla fine di settembre, assediati per ben nove mesi, dando il via ad una pagina cruenta e dolorosa della storia della città padana e dei Longobardi. Adelchi, con la vedova ed i figli di Carlomanno, riuscirono invece a fuggire alla volta di Verona. Adelchi poi scappò dal Regno Longobardo per trovare ospitalità a Costantinopoli. Re Carlo Magno, contrariamente a quanto aveva fatto suo padre, non prese mai minimamente in considerazione una soluzione più moderata del conflitto. Anziché trattare con Re Desiderio, l’assediò per nove mesi ottenendo, nel frattempo, la sottomissione di numerose città, nonché di svariati nobili Longobardi. Persino il Papa ricevette la sottomissione degli abitanti del ducato di Spoleto e dei territori della Pentapoli, rimasti fino ad allora sotto la sovranità dei Longobardi: le città di Fermo, Osimo ed Ancona.
Altrettanto impressionante fu la battaglia tenutasi nell’ottobre del 773 d.C. nei pressi di Mortara. Fu una delle più cruenti battaglie combattute tra Franchi e Longobardi. Si narra che il prospiciente borgo prese il nome dall’epico scontro che si risolse in una spaventosa carneficina. Secondo la tradizione storica, i morti furono oltre 70.000 ed il luogo della battaglia prese il nome di “Mortis Ara”, cioè: “Altare della Morte”. Da qui il nome della città di Mortara. Carlo Magno, lasciata parte dei suoi uomini all’assedio di Pavia, raggiunse Milano e proseguì verso altre città cercando di convincere pacificamente alla resa altri Duchi Longobardi che, dopo aver visto sbandarsi l’intero esercito longobardo assediato a Pavia, deposero le armi e consegnano le loro città senza spargere altro sangue. Il Re franco raggiunse poi Verona, dapprima l’assediò, ma tentò comunque di evitare un ennesimo scontro, inviando messaggi di pace al Duca ed alla popolazione locale. L’intento di Carlo Magno era principalmente di far sparire dalla scena i suoi nipotini, principi, figli di Carlomanno e Gerberga, legittimi eredi al trono franco. Chiese la resa di Adelchi che, fuggendo da Pavia, si era rifugiato a Verona. I cittadini, poco disposti a lottare per difendere un esercito perdente, aprirono le porte ai carolingi e consegnarono loro gli scomodi fuggiaschi.
Adelchi riuscì a fuggire e riparò nel vicino territorio bizantino da cui, in seguito, partirà per Costantinopoli. Egli credette ingenuamente che l’antico nemico bizantino si sarebbe alleato con lui e l’avrebbe sostenuto militarmente contro il Re franco, strenuamente convinto che Re Carlo Magno stesse sottraendo, sia ai Bizantini che ai Longobardi, l’intero territorio italico. Costantinopoli guardava già oltre: l’Italia era un ricordo del passato, la presenza bizantina nel sud Italia, ormai ridotta a piccolissimi territori disseminati a “macchia di leopardo”, che ormai costituivano solo un peso per l’erario. Gli spietati funzionari che raccoglievano le imposte, con angherie e soprusi, non riuscivano più neppure a pagare se stessi. La situazione era decisamente cambiata. Si erano creati nuovi centri di potere, era tempo che anche i governanti degli altri territori italiani si schierassero aderendo ai nuovi equilibri.
I Duchi dei territori longobardi e bizantini trovarono più conveniente passare sotto la protezione del Papa, ora protetto ed appoggiato da Carlo Magno. Il Re franco aveva ormai messo in ginocchio quasi tutto il Nord Italia e riconquistato numerosi territori ex bizantini, a suo tempo usurpati dai Longobardi. Il primo a passare sotto la nuova bandiera fu proprio il Duca di Spoleto, lo stesso salito, a suo tempo, al Nord per offrire incondizionato appoggio a Desiderio. Il Duca, constatata la mal parata del Re longobardo assediato a Pavia, inviò le sue credenziali a Re Carlo Magno, asserendo che aveva già espresso volontà di sottomissione al Papa. A breve lo seguirono i suoi omonimi di Ancona, Osimo, Fermo e di Città di Castello, dichiarandosi fedeli sudditi del Papa. Agli inizi del giugno del 774, a causa di queste terribili notizie, la gloriosa capitale dei Longobardi, Pavia, fu costretta ad arrendersi. Alla fine dello stesso mese, il vittorioso Carlo Magno assunse il titolo di Re dei Longobardi, oltre che Re dei Franchi, ponendo così fine al Regno di Re Desiderio.