Il sito archeologico dei Piani di Barra

Il sito archeologico dei Piani di Barra

I resti già scavati e recuperati degli edifici dei Piani di Barra sono sparsi su cinque terrazze. Più in alto rispetto alle altre terrazze si trovava l’Edificio principale. Così chiamato, non solo per le sue discrete dimensioni e la disposizione dominante, ma anche perché era formato da tre grandi edifici a due piani ed un ampio cortile, nonché per i manufatti ritrovati al suo interno. Si trattava di: ciotole, bicchieri, vetri di finestre, lastre di marmo, stucchi colorati, piastrelle, porcellane pregiate, ma anche di un anello cloisonné, di un paio di speroni in metallo e soprattutto, di una strana “Corona Sospesa”.

Delle tre ali che sono oggi visibili, rimangono intatte solo le fondamenta di quella a nord e di quella ad est: la prima era suddivisa in diverse piccole stanze, tra cui una grande sala di ricevimento al secondo piano. La seconda ala, costituita da un lungo edificio, probabilmente era utilizzata quale caserma per gli Arimanni di guardia. Una terrazza alla fine dell’Edificio principale conteneva l’unica fonte d’acqua conosciuta e utilizzata all’epoca. La presenza di numerosi focolari, quasi uno per stanza, suggerisce che questi edifici erano utilizzati quali abitazioni. Tra i manufatti rinvenuti figurano delle ceramiche comuni e fini, pettini d’osso, pesi da telaio, ciotole di vetro ed oggetti metallici di uso quotidiano, quali coltelli ed anelli. La somiglianza tra la disposizione di alcuni edifici con tre stanze parallele e un portico in comune, suggerisce che si trattava di una specie di “condominio”. 

La maggior parte degli edifici dei Piani di Barra era multifunzionale ed in alcuni edifici sono stati ritrovati elementi di stoccaggio, ovvero anfore. Inoltre, vari utensili per la lavorazione dei metalli, martelli e soprattutto mantici spessi circa un metro, sono stati rinvenuti su un ripido pendio, tanto che in alcuni punti è stato necessario sostenerli con pilastri. Sono ancora visibili le rovine delle antiche mura costruite ad un livello costante di 650-700 metri sul livello del mare. 

L’accesso a questo pendio è di per sé abbastanza difficile: ci si chiede allora perché gli abitanti volessero difenderlo. Oppure, se si volesse solo collegare rapidamente con un camminamento le tre torri, costruite in un’altra zona ben più difendibile. Delle tre torri identificate e costruite su questo muro, solo due sono state scavate. Come il muro, le torri erano costruite in muratura. Le due torri scavate avevano entrambe tetti in tegole; una delle due torri era più piccola e costruita con dei contrafforti, mentre la terza torre era costruita con una profonda trincea di fondazione. La parete ovest della seconda torre presentava una scala della quale rimangono solo tre gradini interni e girava intorno alla parete nord passando sopra la porta. 

Le fortificazioni dell’Eremo, già rilevate e scavate, sono costituite da mura e da una torre, entrambe rivolte a sud. L’Eremo è un affioramento roccioso in cima alla montagna, ma le sue mura non forniscono alcuna prova di datazione certa. Potrebbe essere esistito un edificio (il Castellozzo), costituito da un piccolo castello. Ma ciò non è accertato, perché il sito non è stato ancora scavato. A differenza delle altre torri, quella dell’Eremo è stata costruita in mattoni murati mischiati a macerie. Ciò potrebbe avere a che fare con la struttura precedente su cui è stata costruita, ampliata, oppure elevata la torre sud. La questione dei mattoni è particolarmente interessante. È possibile che una precedente struttura con tetto di tegole (forse un’altra torre) sia crollata. Le tegole ed i resti furono quindi utilizzati per costruire una nuova torre. Le fortificazioni non hanno prodotto alcuna prova di datazione certa, a parte una bella fibula di bronzo del V-VI secolo. E ciò conferma quanto gli edifici e le fortificazioni siano coevi.

Teodorico, che governò l’Italia nel 493 d.C., distribuì ai suoi uomini le terre di Odoacre, soprattutto nella Pianura Padana, creando un “centro gotico”. In seguito, nella regione alpina, istituì una serie di fortificazioni che avrebbero sostituito le vecchie truppe tardo-romane di confine, già note quali ”limitanei”. Supponendo quindi che il Monte Barro fosse una fortezza, la sua costruzione potrebbe essere attribuita a sforzi di fortificazione storicamente provati. La stratigrafia delle torri del “muraioo” e dell’Eremo, indicano due diversi periodi d’occupazione. Infatti, la torre del “muraioo” presenta un primo strato d’occupazione, il quale indica un breve periodo d’utilizzo, seguito da un nuovo strato di abbandono. In seguito, si è formato uno strato più ricco e spesso, che forse indica un periodo di occupazione più lungo. A questo segue la fase finale di distruzione ad opera dell’incendio. 

L’Eremo, invece, suggerisce due distinti periodi d’occupazione, associati ad una delle torri costruite nello stesso sito. In assenza di prove cronologiche certe, è impossibile fare ipotesi sulla sua natura. Nel caso delle torri del “muraioo”, il primo livello d’uso può essere legato alla necessità di proteggere il sito durante la costruzione. D’altra parte, il secondo livello, d’uso più assiduo, può essere legato all’attività militare nella zona, forse causata dall’invasione bizantina dell’Italia (535 d.C.), quando c’era una maggiore necessità di vigilanza. Tuttavia, non è possibile fornire alcuna prova certa di una data esatta. 

Tutti gli edifici e le torri sono stati rasi al suolo, suggerendo che l’insediamento abbia subito una totale distruzione. Infatti, nell’Edificio principale, il livello dei detriti stratificati che coprono l’intera ala nord, è una chiara indicazione del crollo di questa costruzione. Questo livello di distruzione risale alla conquista bizantina dell’Italia, cioè la Guerra Gotica, che iniziò nel 535 quando Belisario conquistò la Sicilia e l’Illirico. Poi condusse il suo esercito da sud a nord verso Ravenna. Mentre Ravenna era assediata, Milano ed il nord Italia, dove si era insediata la maggior parte dei Goti, si arresero ai Bizantini nel 538 d.C. Con l’avvenuta conquista di Ravenna la guerra gotica sembrava finita. Tuttavia, il nuovo Re, Totila, lanciò un’importante ribellione contro i Bizantini nel 540 d.C. Ciò prolungò la guerra per altri vent’anni prima della definitiva conquista da parte dei Bizantini nel 560 d.C. 

Sarebbe davvero difficile attribuire la distruzione del sito sul Monte Barro ad un singolo evento bellico. È molto più ragionevole ipotizzare che il sito sia stato distrutto durante un periodo di guerra (540-560 d.C.) quando, tutta la Pianura Padana era in costante stato bellico e di pestilenza e che il sito sia stato così abbandonato e depredato per vari secoli.

I Piani di Barra ed il “Castellozzo” furono una fortezza nell’Alto Medioevo?

I Piani di Barra ed il “Castellozzo” furono una fortezza nell’Alto Medioevo?

Monte Barro era una fortezza nell’alto medioevo?

Sono in molti a chiederselo. In che misura Monte Barro assomigliava alle fortezze coeve nella stessa regione? Ed ancora: considerato che probabilmente si trattava di un insediamento fortificato composto d’alcune mura e da diverse torri e che sembra essere stato distrutto in modo piuttosto massiccio nell’ultima guerra gotica, è del tutto ragionevole supporre che l’insediamento sul Monte Barro fosse una fortezza? 

Una cosa è certa: questa posizione collinare è tipica delle antiche fortezze. Infatti, l’insediamento di Monte Barro, fortificato oppure no, si trova in una posizione che permette di dominare un’ampia area e di essere facilmente difeso anche da pochi soldati sfruttando la naturale pendenza della montagna. La sua posizione è inoltre legata ad una serie di fortezze costruite da Teodorico sulle Alpi, che proseguivano le strategie del periodo tardo-romano. Infatti, la fortezza del Monte Barro presenta varie analogie con altre fortezze ben conosciute in questo periodo nella stessa regione. In effetti, sono note alcune fortezze simili in cui sono stati scavati altri siti archeologici (Lomello, Castel San Pietro, Bellinzona, Isola Comacina, Laino, Ponte Lambro, Monte Castello di Giano, eccetera). Tuttavia, colpisce il fatto che i forti di confine di quello stesso periodo storico, fossero presidiati da soldati ed abitati anche dalle loro famiglie. Anche questo sembra essere il caso. 

Queste coincidenze, sono sufficienti per considerare il Monte Barro una fortezza? Una descrizione dettagliata di com’erano costruiti i forti di confine nel periodo tardo-romano, è contenuta in un antico documento: lo “Strategikon” di Maurizio (582-602). E’ evidente che, sia gli Ostrogoti che i Bizantini, abbiano ereditato una certa organizzazione militare romana. Quindi, possiamo supporre che questa descrizione bizantina sia probabilmente molto accurata. Lo Strategikon afferma infatti che i forti di confine dovevano essere costruiti su colline, da cui si potevano inviare dei segnali ottici. Inoltre, dovevano essere costruiti solidamente in mattoni, pietra e malta. Maurizio, raccomandava che questi forti dovevano essere in grado d’immagazzinare cibo e acqua in grandi serbatoi per tre o quattro mesi, sempre se non c’erano dei fiumi o delle sorgenti nelle vicinanze. 

Le murature del Barro furono costruite esattamente come avrebbero dovuto essere. Inoltre, i grandi serbatoi d’acqua a servizio dell’Edificio principale, nonché le ossa di animali frantumate trovate un po’ in tutta l’area scavata, indicano certamente la presenza di cibo in abbondanza. E vi sono varie sorgenti che a tutt’oggi danno ottima acqua. Inoltre, il Monte Barro si distingue da altri “castellieri” per le sue enormi dimensioni. Questo fatto lo rendeva equivalente ai grandi “castra”, con funzioni diverse da quelle puramente militari, come la fortezza di Castelseprio del V-VI secolo, che aveva anche una piccola chiesa. Esattamente come il Monte Barro. 

Vi è infine la scoperta dell’esistenza di una particolare “Corona Pendente”. La presenza di un tale oggetto può essere attribuita solo ad una figura influente che era collegata direttamente al regime centrale. Questo significa che il Monte Barro facesse parte dell’Amministrazione territoriale? 

Monte Barro occupa una posizione invidiabile ancora oggi, dominando buona parte della Pianura Padana ed il Lago di Como. Ciò lo rendeva anche in passato un punto decisamente strategico per il controllo dei vari movimenti lungo la strada romana che collegava il lago, il valico, la flotta di imbarcazioni lacustre e fluviali con Milano e con i valichi montani. Inoltre, i ripidi bastioni del Barro erano di difficile accesso per qualsiasi esercito. Quindi, potevano essere facilmente difesi da una piccola guarnigione con ridotte risorse e pochi militari stanziali. Infine, l’abbondanza di fonti d’acqua, la coltivazione di cereali e di frutta, la possibilità di cacciare e la disponibilità di vari tipi di materiali da costruzione, ne facevano un luogo davvero ideale per la creazione di un’enclave, un po’ nascosta e ben fortificata, quindi facilmente difendibile. 

Grazie al relativo isolamento da altre montagne, le pendici meridionali del Monte Barro offrono una bella vista su Milano, a circa 40 km di distanza, nonché su gran parte della Val Padana. Il versante settentrionale, più scosceso, non è facilmente accessibile. Il passo verso il Lago di Como non è visibile, ma sono visibili altre piccole fortezze nel raggio di 20 km dal Monte Barro. È anche possibile che il Monte Barro non fosse una difesa oppure una fortificazione di prima linea, bensì il punto focale di una serie di fortini più piccoli sparsi nella zona. L’Edificio principale potrebbe essere stato il centro, cioè la sede amministrativa, non solo del Monte Barro, ma anche di altre fortezze nel raggio di 20 km dal Barro. 

La presenza della “Corona sospesa” ritrovata ai Piani di Barra, avvalora questa tesi. Fu sicuramente appartenuta ad un personaggio influente che magari la ricevette quale parte della “regalia” per la sua posizione di “governatore”. Tuttavia, la connotazione fisica del Monte Barro si rivelò a lungo essere piuttosto scomoda, anche a causa della concreta difficoltà d’accesso. Ancora oggi, infatti, è necessario camminare per più di un’ora dalla zona centrale di Galbiate per arrivare sino ai Piani di Bara. Ciò può spiegare la breve vita dell’insediamento militare. 

Nonostante l’importanza e la visibilità sul transito offerta dal Monte Barro, non vi sono ancora valide prove scientifiche che suggeriscano che qui sia stata costruita una fortificazione resistente anche in altri momenti dell’Alto o Basso Medioevo. Il fatto che il Monte Barro fosse stato abitato solo durante il breve periodo gotico, può essere utilizzato per spiegare perché facesse parte del sistema alpino romano riciclato dai Goti. Tuttavia, quando il potere dei Goti fu definitivamente disperso, l’intero sistema crollò. Alcuni storici e archeologi moderni pensano che l’insediamento del Monte Barro potesse essere collegato al regime militare degli Ostrogoti nell’Italia settentrionale. Questa tesi si basa: sulla posizione, sul contesto cronologico, sull’area fortificata circostante, nonché sulla presenza di un’inusuale e fuori contesto, “Corona sospesa”, che essi ritengono gotica.

Tuttavia, è questa l’unica tesi o vi sono altre possibilità?  A mio parere, si…!

La misteriosa “Corona Pensile”

La misteriosa “Corona Pensile”

La “Corona Pensile” è stata rinvenuta qualche anno addietro fra i resti del crollo del piano superiore dell’ala nord dell’Edificio principale. Si presentò agli archeologi in cinque frammenti attorcigliati, unitamente a tre lunghi segmenti di catena. Era stata abilmente ricavata da un’unica sottile lastra di bronzo. Quando era nuova aveva un diametro di circa venti centimetri. La decorazione dei bordi superiore ed inferiore comprendeva un’alternanza di curve e di angoli. Le varie curve erano costituite da semicerchi ritagliati sulle fasce superiore ed inferiore. Mentre la fascia centrale, alternava piccoli triangoli con la base rivolta verso l’alto oppure verso il basso. Semicerchi e triangoli erano decorati nel loro perimetro con vari punti punzonati. Dagli angoli inferiori pendevano degli elementi di bronzo che contenevano dei pezzi di pasta vitrea di colore verde ed arancione. 

La corona si trovava nella sala principale dell’ala nord, che costituiva probabilmente il centro amministrativo dell’intero sito. Nella stanza erano presenti anche tre croci appese e vare lastre di mica. Le tre croci avevano un’influenza germanica per via delle loro estremità trapezoidali. Furono messe dagli archeologi in relazione con alcune lucerne, per la natura rifrangente della mica ivi ritrovata. Le corone pendenti si ritrovavano spesso in associazione con altri tipi di lampade pendenti. Probabilmente, derivavano dalle ormai conosciute corone militari romane, che avevano un chiaro significato trionfale per Imperatori, Re, Consoli o Generali. Sebbene le corone siano state collegate alla regalità, nel periodo tardo-antico sembrano aver mantenuto un simbolismo di onore e di vittoria, piuttosto che regalità. 

Le uniche corone pendenti sopravvissute intatte ci provengono dal Regno visigoto d’Iberia. I Visigoti usavano queste corone quale simbolo del potere. Ogni Re, una volta eletto, donava una corona al suo Palazzo reale per commemorare il proprio Regno. In questo contesto, le corone erano segni di onore regale, ma non di regalità, in quanto i Re dei Goti erano semplicemente “unti” e non “incoronati”. In Spagna sono invece state rinvenute altre tre corone minori, ma non regali. Tutte e tre possiedono elementi di sospensione in pasta vitrea e sono realizzate in un’unica lastra bronzea con decorazione geometrica. Le dimensioni sono simili. Quindi, sono molto più simili a quella rinvenuta sul Monte Barro che non a quelle donate dai Re dei Goti. Le corone visigote erano d’oro, mentre la corona del Monte Barro era di bronzo, come quelle spagnole. In passato, quando la corona rinvenuta sul Monte Barro era nuova, poteva anch’essa essere stata lucidata a specchio ed era di certo di un bel colore dorato, ma non era fatta d’oro come quelle dei Goti…! 

Le corone minori, come quella del Monte Barro, potrebbero quindi non essere appartenute né alla più alta aristocrazia, né alla regalità, ma certamente a persone d’alto rango e con molta ricchezza. In ogni caso, dobbiamo collegare le corone a singoli individui o destinatari d’alti onori. In effetti, anche le corone pendenti romane erano dei simboli di vittoria e d’onore, ma non necessariamente di potere, nonostante il fatto che per i romani vittoria, onore e potere siano concetti strettamente legati. Quando i Goti crearono i loro regni, si appropriarono di questi simboli romani d’onore. Spesso li utilizzarono come propri, realizzandoli con le loro tecniche tradizionali.

Tuttavia, la prima corona gota di cui si abbia notizia, è quella di Reccared, citata nella “Storia del Re Wamba”. Questa corona sospesa apparve pertanto oltre quarant’anni dopo la fine dell’insediamento dei Goti sul Monte Barro. Possiamo supporre che la corona sia gota? Sappiamo che il sito è stato una fortezza di epoca ostrogota. Quindi, un simbolo romano di potere per di più in un contesto gotico, potrebbe anche indicare una politica di continuità romana da parte di Teoderico. Cosa significa allora questa corona nel contesto del Monte Barro? Potrebbe essere un simbolo di onore e vittoria? Sono entrambi due concetti questi, che si adattano più ad un contesto militare: ma per chi? E perché? Potremmo anche ipotizzare che i Goti usassero già la corona pendente quale simbolo d’onore e di gloria e che la sua decorazione geometrica potesse far pensare ad una manifattura germanica. Quindi: la corona potrebbe far pensare ad un alto ufficiale gotico residente nell’Edificio principale? Ma a chi appartenne? Forse ad un’ufficiale oppure ad un comandante reale? Ovvero ad un governatore locale? 

Si potrebbe anche essere tentati di considerare la corona ritrovata sul Monte Barro come un segno di fondazione regale. Tuttavia, la corona e la fondazione del sito, non possono in alcun modo essere abbinate su base archeologica. Ciò nonostante, la semplice presenza della corona sospesa del Monte Barro, indica chiaramente un legame diretto tra l’amministrazione centrale gotica ed il sito. O almeno, con un membro dell’élite gotica. Ma il mistero permane. Nessuno, almeno per il momento, se non con la fantasia, è stato ancora in grado di svelarlo efficacemente in termini scientifici e storici…!

La battaglia di Mortara 773 d.C.

La battaglia di Mortara 773 d.C.

Impressionante fu la battaglia combattuta nell’ottobre del 773 d.C. nei pressi di Mortara. Fu una delle più cruenti battaglie combattute tra Franchi e Longobardi. Si narra che il prospiciente borgo prese il nome dall’epico scontro che si risolse in una spaventosa carneficina. Secondo la tradizione storica, i morti furono oltre 70.000 ed il luogo della battaglia prese il nome di “Mortis Ara”, cioè: “Altare della Morte”. Da qui il nome della città di Mortara.

Carlo Magno, lasciata parte dei suoi uomini all’assedio di Pavia, raggiunse Milano e proseguì verso altre città cercando di convincere pacificamente alla resa altri Duchi Longobardi che, dopo aver visto sbandarsi l’intero esercito longobardo assediato a Pavia, deposero le armi e consegnano le loro città senza spargere altro sangue.

Il Re franco raggiunse poi Verona, dapprima l’assediò, ma tentò comunque di evitare un ennesimo scontro, inviando messaggi di pace al Duca ed alla popolazione locale. L’intento di Carlo Magno era principalmente di far sparire dalla scena i suoi nipotini, principi, figli di Carlomanno e Gerberga, legittimi eredi al trono franco. Chiese la resa di Adelchi che, fuggendo da Pavia, si era rifugiato a Verona. I cittadini, poco disposti a lottare per difendere un esercito perdente, aprirono le porte ai carolingi e consegnarono loro gli scomodi fuggiaschi. 

Adelchi riuscì a fuggire e riparò nel vicino territorio bizantino da cui, in seguito, partirà per Costantinopoli. Egli credette ingenuamente che l’antico nemico bizantino si sarebbe alleato con lui e l’avrebbe sostenuto militarmente contro il Re franco, strenuamente convinto che Re Carlo Magno stesse sottraendo, sia ai Bizantini che ai Longobardi, l’intero territorio italico.

Costantinopoli guardava già oltre: l’Italia era un ricordo del passato, la presenza bizantina nel sud Italia, ormai ridotta a piccolissimi territori disseminati a “macchia di leopardo”, che ormai costituivano solo un peso per l’erario. Gli spietati funzionari che raccoglievano le imposte, con angherie e soprusi, non riuscivano più neppure a pagare se stessi.

La situazione era decisamente cambiata. Si erano creati nuovi centri di potere, era tempo che anche i governanti degli altri territori italiani si schierassero aderendo ai nuovi equilibri. I Duchi dei territori longobardi e bizantini trovarono più conveniente passare sotto la protezione del Papa, ora protetto ed appoggiato da Carlo Magno. Il Re franco aveva ormai messo in ginocchio quasi tutto il Nord Italia e riconquistato numerosi territori ex bizantini, a suo tempo usurpati dai Longobardi. Il primo a passare sotto la nuova bandiera fu proprio il Duca di Spoleto, lo stesso salito, a suo tempo, al Nord per offrire incondizionato appoggio a Desiderio.

Il Duca, constatata la mal parata del Re longobardo assediato a Pavia, inviò le sue credenziali a Re Carlo Magno, asserendo che aveva già espresso volontà di sottomissione al Papa. A breve lo seguirono i suoi omonimi di Ancona, Osimo, Fermo e di Città di Castello, dichiarandosi fedeli sudditi del Papa. Agli inizi del giugno del 774, a causa di queste terribili notizie, la gloriosa capitale dei Longobardi, Pavia, fu costretta ad arrendersi.

Alla fine dello stesso mese, il vittorioso Carlo Magno assunse il titolo di Re dei Longobardi, oltre che Re dei Franchi, ponendo così fine al Regno di Re Desiderio.

La sconfitta della Città di Pavia 774 d.C.

La sconfitta della Città di Pavia 774 d.C.

La sconfitta della Città di Pavia ad opera di Carlo Magno

Re Carlo, dopo essere partito da Roma, ritornò all’assedio di Pavia. Il 6 giugno 774 d.C., dopo circa nove mesi di strenua resistenza, la città di Pavia, ormai stremata, vinta dalla fame, dalla sete e dalla peste, si arrese. Re Desiderio avrebbe potuto ed anche voluto resistere, ma sporcizia, malattie infettive, scarsità di cibo ed acqua avevano già provocato fin troppe pestilenze e vittime. Presto sarebbe arrivata l’estate e la sua Gente non avrebbe mai potuto affrontarla in quelle pietose condizioni. Sarebbe stato un inutile, penoso suicidio collettivo. Entrato a Pavia la sera del 10 luglio, Re Carlo Magno cinse la Corona Ferrea e fu quindi proclamato Re dei Franchi, Re dei Longobardi e difensore dello Stato Pontificio. Ma sarà solo dopo l’annessione dei territori della Longobardia Major, che Re Carlo passerà alla storia come “Re Carlo Magno” divenendo, di fatto, Imperatore. Non ritenne però di imporre oltre la propria presenza personale nella penisola italica. Aveva altri territori da controllare. A nulla valsero le ripetute proteste, nonché le accorate suppliche di Papa Adriano I, il quale continuò insistentemente a rivendicare al neo Imperatore i cosiddetti “territori di San Pietro”.

Pavia si era arresa, Verona era capitolata. Il fuggiasco Adelchi si rifugiò dapprima nei territori bizantini in Italia e poi chiese asilo nella città di Bisanzio. Costantino VI, l’Imperatore bizantino, preso atto dell’eccessivo rafforzamento dei Franchi, valutò attentamente la nuova situazione creatasi in Italia prima di intervenire militarmente. Concesse ad Adelchi, il titolo di “Patrizio Bizantino”, ma non l’aiutò, nonostante le varie sollecitazioni avute da più parti per intervenire in Italia. Per il popolo longobardo sembrava ormai suonata l’ora della totale sconfitta e dell’estinzione.

Nonostante tutto, Adelchi, nel 788 d.C., partecipò ad una spedizione militare in Italia insieme all’esercito bizantino. Sbarcato in forze in Calabria, Adelchi fu sconfitto dai Franchi aiutati nell’intento proprio dagli stessi Longobardi di Benevento, Ducato che fu da sempre antagonista alla propria stirpe fondatrice. Infatti, non nacque come tutti gli altri ducati del settentrione, ma fu creato da alcuni ribelli appartenenti a nobili famiglie longobarde durante i dieci anni di “anarchia longobarda”. Il fatto che Benevento coniasse una propria moneta dimostrava quanto fosse indipendente questo Ducato dai “cugini longobardi” del Nord Italia e dall’autorità stessa di Desiderio.

In effetti, nel corso della storia, Benevento mostrò chiaramente di essere il più opportunista tra tutti gli altri Ducati, tanto da non soccombere ai Franchi. Gli ultimi Duchi longobardi beneventini, appoggiandosi più al Papa che non ad altri alleati, riuscirono a conservare il loro territorio per altri tre secoli dopo la sconfitta dei Longobardi al nord.